Di schiena

Succede sempre così nella mia vita: rincorro qualcosa, qualcuno, lo voglio disperatamente, aspetto, paziento, costruisco, capisco, comprendo, accetto, aspetto, spero, aspetto, tengo duro, aspetto, e poi me ne vado.
Si, me ne vado io, così come sono arrivata, così come ti do tutto, così come ti capisco oltre ogni ragionevolezza, così come accetto qualsiasi tipo di ragione, così come do credito a qualsiasi tipo di segnale, così come mi trovi esattamente dove mi hai lasciato l’ultima volta, così come non mi smuovo di un millimetro nelle mia dedizione, ecco, esattamente così, ad un certo punto, mi voglio bene e me ne vado.
E non è ripicca e non è tattica, e non è strategia, è che ti do tutto, e poi me ne vado, di schiena.
Se sia giusto o sbagliato, normale o anomalo, saggio o sconsiderato, proprio non lo so.
So che in quell’andarmene dopo averti dato tutto, metto tutto l’istinto di sopravvivenza che c’è.
E me le ricordo tutte quelle poche ma epocali volte in cui me ne sono andata, quei precisi attimi in cui ho realizzato il confine tra convinzione e insensatezza, tra dedizione e fissazione, tra opportuno e inutile. In quei momenti accade che io riesca a guardarmi dall’esterno per un totale e distaccato attimo in cui guardo la scena come un film, seduta in poltrona con la giusta luce e la giusta vignettatura, e, con la più serafica calma mi dico “Valentina, ma che stai facendo? Basta.”
Ultimo sguardo e vado via, di schiena.
Dissolvenza.
Va più o meno così quelle volte in cui mi voglio bene, in cui mi voglio decisamente più bene della persona o situazione che è l’oggetto della mia dedizione.
Tendenzialmente, l’oggetto in questione, questo da me non se lo aspetta e ci rimane di sale.
E sia chiaro, non lo faccio certo per quello, ma dovreste vedere che facce!
Si perchè va anche detto, che da quel momento in poi, sono irremovibile, che quello che mi faceva vacillare fino ad un attimo prima, non mi turba più, lo noto, ma non mi turba più.
E i tentativi altrui fatti per ripristinare la vicinanza, mi sembrano più mal accettazione dell’attenzione perduta, che della persona perduta.
Si perchè io non ho mai lontanamente creduto all’ipotesi che si sappia quanto si tiene a qualcuno solo quando lo perdi.
Ma andiamo, ma che cazzata è? Ma chi l’ha inventata? Un vigliacco, credo.
Quanto tenga a qualcosa o qualcuno lo so subito, nell’immediato istante in cui ne entro in contatto: sento tutto, avverto tutto, amo tutto.
Non ho bisogno di perderlo per capire: quanto fosse importante io l’ho saputo in ogni attimo, dall’impatto, al distacco.

1 Comment
  • Carla

    9 maggio 2017 at 20:34

    Io ti adoro. Amo ciò che narri e come lo fai