La bolla

Avete presente le bolle?
Delle sfere più o meno perfette, dai contorni precisi, completamente staccate dal resto?
Bene.
Quest’estate ho fatto un viaggio, un viaggio molto particolare, diverso dai soliti, diverso dai vostri.
Ho fatto un viaggio in una bolla: un reparto oncologico.
Ci sono reparti in cui la variabile è ampia, in cui si può essere lì per vari motivi.
E poi c’è oncologia, dove non puoi sbagliare: se sei lì, il motivo è uno solo.
Un motivo dalle mille, subdole, crudeli, meschine facce, ma solo uno ed uno solo.
Oncologia è un microcosmo che vive sganciato dal resto del mondo, il rimanente mondo che corre, corre, gira, gira, mentre questo resta una bolla, lenta, sospesa, insonorizzata, dove ognuno fa i conti con le proprie paure, con i propri demoni.
Durante questo viaggio, ho scattato tantissime foto con gli occhi, con la memoria, con l’anima, tutte le foto che non riesco più a scattare da quel giorno di giugno in cui abbiamo saputo che ci stava succedendo di nuovo, che la mia famiglia era di nuovo chiamata a combattere, in prima linea, contro il nemico più forte, più veloce, più aggressivo.
Il mio vaso di Pandora si è scoperchiato allora, i vecchi spettri, le vecchie sensazioni, la fame d’aria, la paura.
C’erano voluti nove anni per superare, per non avere flashback della malattia, per lasciare andare la rabbia della perdita, il bruciore di chi combatte fino a farsi sanguinare le unghie, e poi perde.
Pensavo alla me di allora, a quella ragazzina che per tanti mesi si era districata tra ospedali, terapie, medici, dolore, rassegnazione , con grande tenerezza.
Avevo imparato ad attaccare, staccare flebo, cambiare cateteri, eparinare, medicare, dosare e, infine, lasciare andare.
Quella ragazzina ed io ci siamo incontrate nella stessa paura, negli stessi occhi, profondi e taciturni, ci siamo abbracciate di nuovo in quel cunicolo personale dove mi faccio cuccia quando sto male, quando devo elaborare.
Ho sperato di ritrovare la stessa forza, la sua stessa energia, ho sperato che, come allora, tutto sarebbe venuto fuori senza rendermene conto, solo perché devi, è necessario.
Quello dei miei genitori è stato un grande amore, un amore di quelli che non si possono spiegare, e non si possono capire, soprattutto oggi che si è abituati a dismettere gli amori al primo malfunzionamento.
Il loro ha continuato a funzionare, a pompare, ad essere una grande storia d’amore, anche in tutti questi anni che lei non c’era più e lui ha continuato a sentirsi sposato ed innamorato.
Ed ora, a lui è stato chiesto di combattere la sua stessa battaglia, stessa guerra, stessa trincea.
La bolla regge per tanto tempo, nella sua sospensione, nella sua astrazione.
Da fuori, con affetto, ti chiedono come va, ma se non sei nella bolla, non sei la bolla.
Poi, ad un certo punto, tutto trema, tutto quello che era stato difficile ma stabile, doloroso ma solido, inizia a vibrare forte, fino a scoppiare.
La mia bolla è scoppiata martedì sera, quando ho lasciato andare mio padre, così come era andata via mia madre.
Un senso di deja-vu soffocante e , quasi, grottesco.
Il dolore non si spiega, non per me almeno, non il mio, che è solo mio.
A chi resta, rimangono tante sensazioni: la rabbia, il dolore, il rimpianto, la mancanza.
Mi hanno portato via le radici, devo salvaguardare il tronco, ma metterò su della buona musica, credo, perché quando la bolla scoppia, il silenzio che lascia è assordante.

Se qualcosa dopo la vita esiste, ora loro sono in un letto di nuvole a ridere e fare l’amore.